Parole in libertà

Il tempo negato

E’ molto difficile esprimere pensieri positivi in uno scenario che parla essenzialmente di morte, come quello che ci circonda ora a causa dell’emergenza Covid-19. Eppure durante il  lockdown,  che sta interessando la maggior parte dei Paesi a livello mondiale, molte sono le
riflessioni positive a riguardo, inclusa la mia.
Dacchè è iniziato questo periodo di isolamento mi sento come rinata. Passato il primo momento di smarrimento, dovuto alla notizia che sarei stata in ‘’cassa integrazione’’ con un taglio del salario pari al 20%, mi sono accorta che la mia vita si stava arricchendo. Arricchendo dei momenti da dedicare ai libri, all’ascolto del silenzio, al riposo, alla preparazione di cibi più elaborati, da dedicare al pensiero, ai film, alle discussioni con i membri della mia famiglia o con gli amici online. In altre parole la mia vita si è’ arricchita del tempo per vivere, di quel tempo di lievitazione che serve a recuperare la direzione, a ritrovare il proprio sistema di valori. La mia vita si è arricchita poiché non scandita dai ritmi frenetici dell’attività lavorativa e quindi non negoziabile.
Da tredici anni vivo in Inghilterra, patria per eccellenza della produttività e ‘’performance’’ sul lavoro, dove il tempo è a tutti gli effetti un nemico.
L’attività lavorativa è scandita dall’ansia, dallo stress di non riuscire a fare tutto ciò che viene richiesto. Si entra in una continua competizione con se stessi in modo irrefrenabile. Per creare questa stressante competizione vengono usati sistemi di coercizione basati su riconoscimenti o premi (‘’awards’’) assegnati settimanalmente sulla base della produttività e delle migliori “performances’” raggiunte. Chi non le ottiene è sollecitato a raggiungerle la settimana successiva e così ogni settimana, ogni mese, anno, per tutta la vita.
La struttura a piramide dell’attività lavorativa fa sì che anche le persone più vicine alla punta della piramide competano con stress e privazione del
tempo maggiori. E’ lo schiavismo moderno basato sulla resa e l’assuefazione alla legge della produttività.
In questo periodo di scollegamento dal Sistema Produttivo il tempo è ritornato a scorrere in maniera lenta, umana e non è più un nemico. La mente ed il corpo si sono disintossicati e un pensiero emerge chiaro e pulito: se riprenderemo a vivere nelle nostre ansie, frenesie, schiavi del meccanismo produttivo e totalizzante non solo sopperiremo ad altri virus ben più forti di quello attuale, ma accetteremo di partecipare alla distruzione della specie umana.
Cosi come il tempo, anche il silenzio, in una società industriale, ci viene totalmente negato. L’assenza di contatto, che caratterizza questo periodo di isolamento, per me è stata sostituita dal silenzio.

Il silenzio è molto importante per liberare la mente, ritrovare se stessi e gli altri. In questa società in cui siamo sempre distratti da qualcosa, dai rumori, dalle immagini, dai pensieri inquinanti, dalle cose da fare, “il silenzio è sacro per recuperare la nostra intimità, ci aiuta ad accorgerci che siamo vivi che esistiamo” come afferma Franco Berrino. Il dopo lockdown mi spaventa, perché si ritornerà al tempo veloce quindi nuovamente nemico e il silenzio verrà brutalmente violentato e violato. Ma sarà proprio così? Già da ora filosofi, psicologi, e molte altre persone interessate ai cambiamenti sociali stanno discutendo di nuove forme di ripresa più sostenibili ed umane. Personalmente penso che una riduzione delle ore lavorative possa già essere un buon passo verso una diversa società. Lavorare meno lavorare tutti è un vecchio slogan degli anni 70 ma la validità del messaggio è più che mai attuale e traducibile come recuperare un buon vivere per tutti: il tempo, un attimo di eternità, entrambi preziosi come la vita stessa.


Fabrizia
Maidenhead, Regno Unito Maggio 2020

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